martedì 25 febbraio 2014

VIOLENZA SULLE DONNE=VIOLENZA AI BAMBINI. SEGNALATE. NON VOLER VEDERE E' DA VIGLIACCHI

Cari genitori e ragazzi e ragazze
Qui http://ferrandoalberto.blogspot.it/2014/02/lettere-di-mamme-picchiate-violenza-di.html ho pubblicato lettere di mamme (e quindi di bambini) sottoposti a violenza da parte del marito. Ora pubblico la prima parte di una storia vera di Giulia, mamma, e Ciro, figlio, delle conseguenze di una violenza non segnalata e sopportata sulla mamma e sul figlio. GUARDATE  CHE E' FREQUENTE. POTREBBE ACCADERE AI VICINI, A AMICI...A NOI STESSI ...E CHI SOFFRE SONO TUTTI ANCHE IL MALTRATTANTE CHE DEVE ESSERE PRESO IN CONSIDERAZIONE E CURATO. SPESSO IL CARNEFICE E' STATO VITTIMA A SUA VOLTA E LA SPIRALE DEL MALTRATTAMENTO NON SI FERMA DA SOLA. RESPONSABILI E ATTORI SIAMO TUTTI: MEDICI, INSEGNANTI, MA NON SOLO: VICINI, AMICI E PARENTI. NON VEDERE O NON VEDERE VUOL DIRE PARTECIPARE E CONCORERRE AD ALIMENTARE LA SPIRALE DELLA CILENZA , DEL MALTRATTAMENTO INTRAFAMILIARE. POI ESISTONO ALTRI MALTRATTAMENTI SOCIALI, SANITARI E SCOLASTICI (per es. non far fare la pipì a scuola) ma ne parleremo in altre occasioni.
Alberto Ferrando
Ci racconterà Giulia, attraverso la sua esperienza, come sia necessario farsi aiutare, denunciando molestie e maltrattamenti psicologici e fisici (ma anche se solo psicologici, fanno danni importantissimi).
Denunciare a strutture finalizzate alla protezione della famiglia, nella sua parte più debole. Ed alla cura del maltrattante che, a sua volta, ha una fragilità terribile, pur nella brutalità psicofisica manifestata, nel tentativo di superarla...
Giulia non è il vero nome dell'amica mia e del dottor Ferrando. La nostra amica è ultrasessantenne e suo figlio si incammina verso i quarant'anni. Ma le sofferenze vissute dal figlio, che chiameremo Ciro, lo hanno portato, a partire dall'adolescenza, a manifestare comportamenti fortemente disturbati, simili a quelli paterni, in alternanza a crisi in cui Ciro si sentiva grandemente in colpa, ed entrava in depressione, anche con fantasie suicide qualche volta. E, successivamente, non riusciva a costruire legami affettivi con le fidanzate che non avessero caratteristiche distorte e malate. Ma era soprattutto su Giulia che i comportamenti aggressivi di Ciro si riversavano.
Ed alla fine, una grave violenza fisica sul secondo compagno di lei, e nel modo più brutale e pericoloso.
Giulia era molto giovane, e Ciro aveva meno di 2 anni, quando ha capito di doversi separare dal marito (lo chiameremo Andrea), perché stava vivendo nella paura per se', ma soprattutto per il suo bimbo.
Il bimbo era innamorato del suo papà e Giulia aveva creduto di poter proteggere Ciro  semplicemente separandosi da Andrea.
Ma così non è avvenuto... nonostante la separazione, quel che Ciro ha vissuto, prima e dopo la separazione dei genitori, lo ha segnato in modo grave.
Se qualcuno fosse riuscito a far capire ad Andrea che il suo comportamento era malato, e che lui stesso aveva bisogno di cura, non solo per il bene di suo figlio, ma anche per poter essere lui stesso una persona felice di se', sarebbe stato molto utile.
Ma allora non si pensava a curare il maltrattante, ammesso che si fosse riusciti a dimostrare il maltrattamento. E al massimo si concepiva una pena.
Mi interrompo, sarà Giulia stessa a continuare. Lo farà a frammenti: nonostante da 24 anni sia sostenuta da un professionista per reggere nel modo più utile possibile il rapporto con Ciro, scrivere di questo argomento è per lei un lavoro che le fa battere forte il cuore.
Ecco il racconto di Giulia:

La mia storia con Andrea, pur con un'interruzione per me dolorosa (ero molto innamorata) era nata sui banchi di scuola. Poi il matrimonio... nonostante avessi avuto la netta percezione, andando alla cerimonia, di infilarmi in grossi guai. Ma era stata più forte la malia dell'innamoramento.
Già da ragazzina ero abituata a considerare i suoi eccessi come espressione di una sofferenza (il suo rapporto con il padre gli creava molti problemi). Povero Andrea, mi dicevo, ha bisogno di amore, ha bisogno di essere capito.
Sin dai primi tempi della nostra convivenza, Andrea aveva iniziato a tenermi sveglia la notte per descrivermi in modo insistente ed estenuante i miei innumerevoli difetti, per i quali, spiegava, si preoccupava, perché mettevano a rischio il nostro futuro. E non smetteva di parlare dei miei innumerevoli difetti, impedendomi di dormire sinché, esausta, crollavo, piangevo e ammettevo le mie presunte colpe. Il giorno dopo ero uno straccio.
All'inizio del matrimonio gli rispondevo cercando di capire, ma abbastanza presto compresi che aveva solo bisogno di farmi star male. Ciononostante, continuavo a giustificarlo.
Faceva anche altri giochini per farmi star male, come ad esempio ignorare totalmente la mia presenza per giornate intere. Come fossi stata trasparente.
Oppure faceva assurde, immotivate, scenate di gelosia, rompendo oggetti cui io tenevo.
Ma non le consideravo cose troppo gravi: col tempo, e la pazienza amorevole, le sue sofferenze si sarebbero lenite e tutto sarebbe stato superato.

Non volevo figli, però, sinché la situazione non sarebbe cambiata. E per questo venivo molto criticata da lui e dalla sua famiglia.
Poi, per errore (o forse no), rimasi incinta ed ebbi Ciro.
E la situazione cambiò.

Di colpo lo vidi con lucidità com'era. Colsi che avevo a che fare con una persona fortemente disturbata. Gli proposi di affrontare il suo malessere perché ora avevamo un figlio, e responsabilità importanti.
Ma la mia lucidità non gli piaceva.
Cominciò con l'avere altre donne. Però io ero distratta, avevo Ciro di cui occuparmi e non me ne accorsi neppure. Me lo fece raccontare dal fratello, a cui risposi ridendo che non era possibile che Andrea, geloso e possessivo com'era, potesse fare lui stesso ciò che ossessivamente dichiarava così grave ed amorale. (Sembra incredibile, ma allora la coerenza mi pareva indiscutibile!)

I suoi tentativi di umiliarmi si fecero più frequenti. Le sue ossessive sceneggiate notturne più aggressive. Ma gli tenevo testa molto più a lungo: non avevo tempo da perdere con stupidaggini. E intanto continuavo a proporgli di risolvere i problemi o di lasciarci. Ma ero molto provata.

Che la situazione virasse al peggio, per Ciro e per me, lo capii una notte.
Si rientrava da una delle interminabili serate del sabato, a cena a casa dei nonni paterni.
Il tinello, dopo la cena, si trasformava in un fumoir insano. Il bimbo piccolo, due anni, sul tavolo come giocattolo/trofeo <l'erede del nostro sangue>. Attorno quattro adulti a fumare e parlare parlare parlare.
Era una sofferenza (non ho mai fumato in vita mia), un gran mal di testa ed una gran rabbia feroce per l'intollerabile mancanza di rispetto per un bimbo piccolo.
Ma le mie accese rimostranze per i diritti calpestati di Ciro erano ininfluenti. Cinque persone, la famiglia, il clan, erano solidali nell'irridere le mie argomentazioni: <sei la solita integralista fuori dal mondo> .
Il ritorno a casa in auto fu con me alla guida. Strana eccezione, perché Andrea era fanatico di auto e geloso della sua (incredibilmente me ne viene in mente ora il motivo: la cosa era funzionale ad un giochino cattivo).
<Ciro ha sonno, salgo con lui> mi disse Andrea appena giunti nei pressi di casa.
Posteggiare la notte, in quella zona centrale della grande metropoli del nord, non era facile. Occorreva girare un po' a vuoto. Ed io cercai il posteggio da sola.
Ascensore. Settimo piano.
La porta dell'appartamento era socchiusa. Dentro buio. Provai ad accendere la luce. Non si accendeva. Silenzio. Paura. Provai a chiamare. Silenzio. Perché? Cos'era successo? Nessuna luce si accendeva. Il cuore martellava. Girai tutte le stanze nel panico.
Di colpo si misero a gridare entrambi, padre e figlio, emergendo da dietro il letto matrimoniale dietro cui si erano acquattati.
E mio marito, ridendo, andò a ricollegare il contatore della luce che aveva staccato.
Stavo male. Il cuore ancora martellante.
Il bimbo che era riemerso da dietro il letto, accanto al padre, e come lui si era messo ridere, appena vide il mio viso, che evidentemente esprimeva lo stato sofferente, mi venne incontro spaventato. Accarezzandomi, mi diceva <Mama? Mama?>  con un tono amorevole e spaventato che non ho mai dimenticato.
Mi riscossi subito per tranquillizzarlo, ma non so quanto fu possibile celare il mio malessere.

Per ora mi fermo.




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